FIGLIO MIO

Figlio mio,
guarda queste mani callose
che da quaranta anni zappano mute;
dove passa la storia
di queste pietre e di questi fiumi,
dove bolle la voce
di tarantole e di colombe.
Oggi, disprezzate tutto,
non sapendo
che è sacrificio e inferno
portare il pane ai denti,
che la vita è supplizio e libertà
rintanati nello stesso seno.
Oggi, vi bevete tempo e sogni,
al bar e in piazza.
Domani, vi vendete anima e faccia
alla prima con le cosce larghe.
Non sapendo che la saggezza
è un'ostia che il Signore
non ha dato a preti e a dotti;
e la sostanza di tutte le cose
é un fico che non si coglie.
Non sapendo
che le vampe dell'amore
piantano più chiodi
di cento martelli di piombo,
e prima o dopo inciampa
come asino in un sassolino
chi ha pestato i piedi e la fronte
agli amici e alla sua famiglia.
Figlio mio,
guarda queste mani arrugginite
che quando erano giovani
alzavano sacchi di cemento
nei cantieri d'un'altra terra"
e sfregandosi in tempo di bombe
facevano legna e carbone
per non sentire il gelo
e la fame della stagione.
Quando chiudo gli occhi,
tocca queste mani forti, forti
e pensa che per vivere
ci vogliono mani così forti
come montagne, come rocce.